Archive for the ‘gite fuori porta’ category

Trattoria Campanini

04/03/2014

CAM01LC

E’ stata la tappa finale di una gita tra i castelli piacentini.
Se passate dalle parti di Busseto fermatevi a godere dei suoi piatti, non ne rimarrete assolutamente delusi.
Potrete iniziare con la classica torta fritta accompagnata da mirabolanti salumi locali (culatello, strolghino, crudo 36mesi…), proseguire con succulenti paste ripiene rigorosamente fatte in case (nel nostro caso tortelli di patate con funghi porcini, agnolotti con ricotta di capra e crema di porri,  caramelle di taleggio con Culatello di Zibello) e chiudere in dolcezza con una crema di latte in salsa di fragole o una crema di zabaione cotto.

2014-03-02 22.06.30

Anche la carta dei vini è meritevole, ampia e interessante.
Noi destreggiandoci tra vini più o meno mainstream abbiamo trovato questa chicca monferrina, a me già nota grazie ai suggerimenti del buon Luigi Fracchia.
Sorso scorrevole, dissetante, tra note balsamiche e leggere speziature pepose. Non voglio però perdermi in dedaliche descrizioni di sentori e profumi, che sono sì una bellissima cornice, ma il pregio principale di questa barbera è la sua beva agile, disinvolta, “pericolosa”. La bottiglia si svuota in un amen riscuotendo un unanime grande successo tra i commensali, enoappassionati e non.

La Trilogia dei Bioviticultori: appuntamento da non perdere!

06/06/2013

Perché l’unione fa la forza e la condivisione permette di crescere. Frasi banali ma per nulla scontate.
Questo sembra essere il leitmotiv dell’associazione “Bioviticultori”, un gruppo di 6 vignaioli della Romagna (Paolo Babini di Vigne dei Boschi, Stefano Bariani di Fondo san Giuseppe, Filippo Manetti di Vigne di San Lorenzo, Emilio Placci di Il Pratello, Andrea Bragagni, e Paolo Francesconi, proprietari delle omonime cantine) uniti per far conoscere il loro territorio e i loro vini.
Il mio approccio con loro fu quasi casuale qualche anno fa, ma fu un’esperienza illuminante in cui scoprii vini che mi rimasero nel cuore. Per questo quando Riccardo mi comunicò che assieme ad Eugenio e ai vignaioli stessi stava organizzando questo evento ho subito pensato che non potevo assolutamente perdermelo.
#Vinidaterre è l’hashtag di una trilogia cominciata lo scorso 1 giugno con una serata dedicata a blogger e giornalisti, che proseguirà domenica 16 giugno per accogliere chiunque voglia partecipare nello splendido scenario dell’agriturismo Campiume, e si concluderà lunedì 17 con un evento dedicato a ristoratori ed enotecari.
#Vinidaterre perché l’idea di questi vignaioli è che si debba partire dalla terra, da un nuovo modo di vivere il rapporto con la natura e l’ambiente, rispettandoli per capirne tempi e bisogni.

bioviticultori

Sabato scorso è stata davvero una grande giornata, e ci sono alcune cose che dovete sapere:
– la grande verticale di Riesling di Vigne dei Boschi è stato un inizio scoppiettante! Si è partiti dalla 2004 (che veniva imbottigliata solo in magnum) con quell’evidente residuo zuccherino che gli da un’impronta alsaziana per arrivare alla giovane 2011, sapida e tagliente. Inoltre i rossi potenti e longevi di Paolo Babini sono vini di gran carattere, da non farsi mancare.
– il Cor d’usel (cuore d’uccello), di cui ignoravo l’esistenza, è un vitigno dalle basse rese con un apparato fogliare simile a quello del pignoletto, ma con grappoli decisamente più minuti e per questo abbandonato nel corso degli anni. Il nome deriva dalla ridotta dimensione degli acini, simili ad un cuore d’uccello. Ora Paolo Francesconi  ha deciso di reimpiantare e valorizzare questo vitigno autoctono da cui ne ricava anche un vino bianco, il Cordusel appunto.
– nel mio cuore hanno un posto fisso i vini di Andrea Bragagni: la sua albana stupisce sempre tutti, non è macerata ma nessuno lo direbbe. Il “Gheppio” ’09, trebbiano macerato che finalmente dopo 4 anni ha completato la fermentazione, è qualcosa di entusiasmante. Ottima poi la bevibilità del Rio Bagno rosso.
– nell’albana “Gea” (credo la prima annata) di San Lorenzo credo di aver trovato la vera tipicità di questo vitigno. Folgorazione!
– i vini bianchi di Fondo San Giuseppe sono giocati tutti sull’acidità agrumata. Peccato non fosse presente il Fiorile (albana), di cui ricordo una netta crescita gustativa dal 2010 al 2011 in assaggi fatti qualche tempo.
– il blend Chardonnay+Sauvignon del Pratello è davvero un gran vino! Conoscevo e apprezzavo finora solo i suoi rossi da uve Sangiovese, ed è stato un piacere apprendere che ci sa fare anche con le uve bianche.
– non mi stancherò mai di ripetere che adoro il lato social di questi eventi che spesso rappresenta il vero motore. Condividere, chiacchierare, ridere e scherzare con nuovi e vecchi amici per me non ha prezzo!

Consiglio vivamente di non mancare il 16 giugno quando verrete accolti in una location mozzafiato da un clima cordiale, informale e caloroso, e potrete assaggiare vere delizie del territorio romagnolo.

I lambruschi dissidenti conquistano la Mole

15/05/2013

lambrusco

E’ un periodo così, in cui la primavera è ancora molto timida e le giornate sono troppo spesso scandite da piogge e nubi. L’altra sera, alla vigilia di Enodissidenze, il cattivo tempo è però rimasto fuori le mura del ristorante “Le Scodelle”, nel pieno centro di Torino, dove invece riecheggiava un’aria gioiosa e ”frizzante “. In questa piccola enclave emiliana la caparbietà di Luigi Fracchia è riuscita là dove molti avevano fallito, e cioè dar voce ai vini emiliani all’interno dell’elitario ambiente  enoico sabaudo.
E avreste dovuto sentire che voce!
I vini serviti a Le Scodelle sono pezzi da novanta del territorio emiliano, vini che non chinano la testa di fronte a nessuno nemmeno nelle zone dove risuona l’eco di nomi come Barolo e Barbaresco.
E lasciatevelo dire da uno che i vini emiliani li beve da sempre 😉

foto di Luigi Fracchia

foto di Luigi Fracchia

Crocizia, Denny Bini, Cinque Campi, bottiglie che si integrano alla perfezione con i piatti del menu e i calici vengono svuotati con celerità impressionante, tant’è che viene da chiedersi come mai sia così difficile reperire vini emiliani in Piemonte. Un nonsense.
Ha ragione l’amico Mauro quando afferma che con vini così si fa davvero fatica a seguire il consiglio “bere con moderazione” .
E c’è stato anche chi ha deciso di mettere da parte per un attimo i canoni della sommellerie e calarsi totalmente nel clima della serata bevendo i lambruschi come usava un tempo e come ancor oggi succede in alcune osterie emiliane di vecchio stampo, ovvero nella scodella!

lambrusco scodella

Amo particolarmente questi eventi dall’atmosfera estremamente friendly dove esce l’altra faccia del vino, la sua origine, la sua storia, il suo lato umano, e la degustazione sembra passare in secondo piano.
Chiacchiere, risate, confronti, la sala ribolle di euforica convivialità, la gente è felice anche solo per il fatto di essere lì, di vivere quel clima.
L’altra sera da “Le Scodelle” usciva l’unica luce di una Torino grigia sferzata dalla pioggia battente.

Istantanee da Villa Favorita 2013

12/04/2013

Dopo la splendida esperienza dello scorso anno non potevo mancare lo scorso weekend a Villa Favorita, il regno di VinNatur. La location è sempre splendida e con qualche raggio di sole in più si sarebbe potuto godere a pieno del grande prato adiacente.

vinnatur villa favorita

Si parte subito con i vini di Sicilia. Io ho una sorta di predilezione per l’isola, una vacanza di qualche hanno fa mi ha letteralmente stregato. E così anche per i suoi vini, tantissimi assaggi siculi mi sono rimasti nel cuore. La Moresca è uno di questi. I  3 rossi (Frappato, Nero d’Avola+Frappato, NdA+Frappato+Nerello Mascalese) sono giovanissimi, figli dell’ultima vendemmia e prelevati dalla vasca. Schietti e fruttati, per forza ancora un pò angolosi. Il bianco di vermentino (mi ha stupito la scelta di quest’uva alloctona) è già più equilibrato con belle sensazioni minerali. Non deludono. Restando in “zona” si passa poi da Frank Cornelissen. E anche qui le papille fanno la ola. Tutti giovani, tutti campioni da vasca a parte il Magma che è l’annata 2011. Sebbene abbia apprezzato in toto il lavoro del belga, mi soffermo un attimo sull’ultimo. Nerello Mascalese in purezza da vigne site sulle pendici dell’Etna a 900-1000 metri s.l.m. L’opera di diradamento fa si che restino su ogni pianta solo un paio di grappoli consentendo un’alta concentrazione di sostanze all’interno degli acini, per una resa di soli 600/700 hg per ceppo. Le uve vengono poi vendemmiate in ottobre inoltrato. Questo vino viene prodotto solo in annate ottime. Il Magma ’11 è giovane ma già si intuisce un equilibrio armonioso insito. Profondo e succoso, vino in cui mineralità e acidità si fondono perfettamente. Mentre mi allontanavo dal banchetto pensavo già a come potermi impossessare della batteria dei suoi vini. 😉
Molto interessanti anche i vini di De Bartoli (sempre Sicilia ma ci siamo spostati all’estremo ovest) in particolare lo Zibibbo, aromatico, pieno e polposo.
Poi Liguria. Terra spesso troppo poco considerata dal punto di vista enologico qui a VinNatur regala due perle come Stefano Legnani (che da tempo inseguivo), con i suoi vermentino (il Ponte di Toi) e trebbiano (prima annata) minerali e di gran beva, e Selvadolce. Il suo Crescendo (pigato base da vigne giovani) è un po’ esile, ma il Rucantù (pigato) e il vermentino sono grandi esempi di macerazione davvero ben eseguita. Conferma l’ottimo assaggio fatto tempo fa.
Passaggio in Spagna. Andalusia per la precisione. Molti avranno già capito a chi mi sto riferendo: Barranco Oscuro. Assaggi resi ancor più piacevoli dalla compagnia di Riccardo, Luigi Sara e Luigi .  Avevo già provato il suoi vini lo scorso anno sempre qui a Villa Favorita. Impressioni confermate, i rossi hanno un bell’equilibrio e una buona freschezza contraddicendo chi dice che in Spagna si producono solo vini potenti e legnosi. In particolare da riprovare il bianco Método Tradicional Brut Nature da uve Vigiriega (varietà autoctona poco diffusa), acidità tagliente, sferzante, citrina, che ricorda quella di certe Lambic.
Dopo aver provato il base pochi giorni fa sono curioso di collaudare anche l’Etza, Müller-Thurgau di punta di Radoar, e trovo finalmente un Müller che mi affascina, forse perché tra tutti è il “meno Müller” che abbia mai provato. Intenso, rotondo e vibrante, davvero notevole. Godurioso anche il Tai Rosso di Daniele Portinari (thanks to Luigi Fracchia per il consiglio).
Si va poi da Roagna ad assaggiare i suoi grandi nebbioli. Dopo una curiosa vinificazione in bianco (un gioco come lo definisce lui) di non facile approccio ma da riprovare con attenzione, e i suoi Barolo e Barbaresco ancora nella fase della pubertà, Luca tira fuori dal cilindro un Barbaresco ’88. Il palato esulta. Grande profondità e armonia. Chapeau!
Concludo con un doppio Friuli: Terpin e Bressan. Difficilmente si sbaglia con i vini del primo di cui già qualcosa conoscevo (anche se la macerazione sullo Chardonnay in questo caso gli conferisce un gusto nocciolato-tostato-morbido che non abbraccia le mie papille), mentre era la primo volta per me con i vini del secondo. Davvero interessanti l Pignolo e lo Schioppettino, tesi, spigolosi, mai pronti, ma comunque di beva stuzzicante. Due produttori da tenere sempre in cantina.

villa-favorita

Il tempo è ormai scaduto, le papille sono sature e recuperando “le mie signore” (che mi hanno gentilmente accompagnato e anche presto abbandonato privilegiando un gustosissimo panino al crudo e burrata e i primi raggi solari sul prato della Villa) concludo una bellissima giornata.

Piccola considerazione finale: sono stati tanti gli assaggi qui a VinNatur e devo ammettere di non essermi imbattuto in nessun vino difettato o palesemente sgradevole nonostante certe metodologie di vinificazione, si sa, sono più rischiose. Complimenti davvero ai produttori e a chi li ha selezionati!

Istantanee da ViniVeri 2013

09/04/2013

Sabato è stata la mia prima volta a Cerea.
La location non sarà molto romantica (un tipico capannone industriale) ma è spaziosa e permette visita e sosta ai banchi senza particolari pressioni.
Sempre bello poi il lato social di questi eventi, le chiacchiere e le degustazioni assieme a vecchi e nuovi amici , produttori e non, vanno ben oltre il calice di vino.
Siccome le condizioni fieristiche non sono mai ottimali (per me) per descrivere assaggi con i dovuti dettagli e la giusta accuratezza (anche perché dopo l’ennesimo calice le papille sono duramente provate) qui di seguito solo qualche rapida impressione di quei passaggi che mi sono rimasti maggiormente impressi.

Vini Veri - Cerea

Ringrazio innanzitutto l’amico Davide Vanni che mi ha fatto conoscere gli interessanti i bianchi lungomacerati di Ronco Severo. Il Pinot Grigio 2010, Severo Bianco 2010 (Tocai, Chardonnay e Picolit) e uno Chardonnay 2005 ormai fuori produzione, trovato per caso in qualche anfratto delle cantine,  sono vini pieni, austeri, di notevole personalità anche se il primo approccio potrebbe risultare un pò difficile. Per chi apprezza la tipologia però sono sicuramente da provare. Il bianco San Martino 210 2010 (trebbiano, malvasia, ansonica) de La Busattina è stato tra i ricordi più piacevoli del pomeriggio, succulento con ritorni citrini e fruttati, lascia in bocca una piacevole freschezza . Beverino e minerale il bianco 2011 da uve Cortese di Laiolo Reginin, bella tipicità per le sue 3 barbere, dritte e taglienti in bocca, particolare invece la 4a versione spumantizzata a Metodo Classico (che a me non ha conquistato appieno), ingresso morbido in bocca, con finale leggermente amarognolo. I Barbaresco ’10 (da vasca) e ‘09 di Cascina Roccalini, sono vini giovani, di buon nerbo e ancora un pò scontrosi, ma da seguire con attenzione. Non male il Pettirosso 2012 di Campi di Fonterenza, un sangiovese di piacevole beva, fresco e scalpitante. Stesse sensazioni accompagnate da note speziate e una freschezza balsamica anche per i rossi de L’Acino, il Tocco Magliocco 2009 e il Chora 2011 (magliocco e malvasia nera).  Mi sono concesso anche un’ennesima verticalina di Dolcetto alla postazione di San Fereolo, partendo da un Valdibà ’11, schietto e diretto, per continuare poi con il San Fereolo (’07-’06-’05-’04-’03 in sequenza). E’ sempre un piacere intrattenersi con Nicoletta ed è sempre un piacere assaggiare i suoi vini. Dulcis in fundo scelgo di voler chiudere in bellezza (certo di non sbagliare) con il Sol ’08 di Cerruti, passito da uve moscato. Annata strepitosa, la migliore secondo Ezio, dove una buona acidità regala un equilibrio lisergico che richiama spaventosamente alla beva. Un sorso ti mette in pace con il mondo.  Non credo di esagerare affermando che il Sol è un vino oggettivamente buono.

Vino senza solfiti a Gualdora

11/12/2012

gualdora

Stefano è un ragazzo milanese che lavorava nelle telecomunicazioni. Un giorno di qualche anno fa, durante un viaggio di lavoro in Africa gli venne un’illuminazione.
Al rientro a casa si licenzia, acquista podere e casale nei luoghi dove, da bambino, passava le estati sui campi, a cavallo del trattore dello zio, e decide che lui è nato per fare il vino.
Si laurea in enologia e nel 2009 ecco la sua prima vendemmia.

La vitivinicoltura dell’azienda cerca di rispettare il più possibile la natura, utilizzando pochi trattamenti ed unicamente a base di rame e zolfo. Anche in cantina l’impatto della mano del vignaiolo è ridotto ai minimi termini. Bandito ogni additivo e utilizzo di solfiti ridotti al minimo.
Questa filosofia è però globale qui a Case Gualdora, dove si utilizzano i pannelli solari per ricavare l’energia per l’abitazione e unicamente la legna per scaldare le mura domestiche. Perchè si è convinti che non solo il vino debba essere sostenibile, ma anche tutta la nostra vita.

Esposizione a sud, collinare, per le vigne.
Nessuna irrigazione, nemmeno in questo torrido 2012.
Circa 10.000 bottiglie in totale, non sufficienti ancora per far quadrare i conti.
Per ora però Stefano non si vuole allargare. Così riesce ad avere tutto sotto controllo, in ogni momento.
Già perchè la vite, perchè dia buoni frutti, va seguita ed accudita, ed in vigna ed in cantina c’è solo lui.

I suoi vini regalano belle emozioni.
Tra tutti spiccano il Malvasia Blanca 2011 (in onore della sua bimba, nata proprio con la prima vendemmia), un frizzante di grande aromaticità  perfetto per gli aperitivi, e i Gutturni frizzante e fermo, che fanno della tipicità e della bevibilità il loro inno.

senza solfiti gualdora

A breve  imbottiglierà un rosso (principalmente Croatina, più un po’ di Merlot) senza nessuna aggiunta di solfiti. Una sfida che già all’assaggio dalla vasca sembra interessante. Trionfo di  profumi ed un sorso fruttato che rinfresca, anche se una sottile scia vanigliata, non pesante ma presente, data dal legno rimane, per il mio palato, un po’ aliena nell’equilibrio del fluido.

Ma oltre ai suoi vini che sono davvero godibilissimi, Stefano è da ammirare per le sue scelte ed il suo approccio con l’ambiente. Se vi trovate sulle strade piacentine, passate a trovarlo. Il suo entusiasmo e la sua solarità vi cattureranno.

Valtellina: al Santuario del Bitto storico

06/12/2012

Ringrazio innanzitutto Michele Corti che mi ha dato indicazioni e contatti per visitare il Centro del Bitto storico, a Gerola Alta, nel pieno della Val Gerola, luogo particolarmente vocato per la produzione di questo succulento formaggio.

centro bitto gerola alta

Il primo approccio (teorico) con il bitto l’ebbi durante il corso AIS. Un mimima infarinatura, che mi fece ricordare questo prodotto più che altro per il suo utilizzo in cucina. Da quel momento sciatt e pizzoccheri mi rimasero in mente come un tarlo fisso (ma ora, almeno per un pò, direi di essermene tolto la voglia… 😉  )

bagni masino - valtellina

Per la produzione del Bitto, le vacche di razza bruna e le capre di razza orobica vengono munte direttamente al pascolo, il latte intero viene poi messo nel calderone, sul fuoco, all’interno dei Calècc (piccola e rustica baita costruita per l’occasione), e caseificato direttamente in alpeggio. Questo per lavorare il latte ancora caldo e non stancare eccessivamente le bestie facendole camminare più del necessario.
Si utilizza fuoco da legna che conferisce particolari aromi al formaggio, e sono banditi additivi, conservanti e fermenti selezionati.
Le vacche producono circa 8-10 litri di latte al giorno (se penso che le “nostre” frisone ne fanno 40-50 per produrre il Parmigiano mi viene l’orticaria. 😦  ).
Per il bitto è prevista una percentuale di latte di capra (orobica) dal 5 al 20%, che contribuisce a conferire un sapore pungente e rustico al formaggio, come di selvatico.
Si pratica il pascolo turnato (nei tre mesi di pascolo la mandria è condotta dalla stazione più bassa a quella più alta) per conservare l’alpeggio e la cotica erbosa.

gerola alta - santuario del bitto

Per avere la denominazione Bitto devono essere passati almeno 70 giorni dalla caseificazione, ma questo formaggio ha delle potenzialità d’invecchiamento strepitose. All’interno del Centro di Gerola conservano una forma di 10kg del 1996 (!!), venduta all’asta per 2500,00 euri (circa 250€ al kg), e hanno in previsione di aprirla fra un paio d’anni, al compimento del 18° natale.
Di anno in anno le caratteristiche organolettiche del Bitto mutano incredibilmente. La pasta all’interno mantiene comunque una consistenza più morbida rispetto ad esempio ad un Parmigiano, perchè il latte è intero e la maggior quantità di grasso contribuisce a mantenere il formaggio più pastoso. In loco abbiamo assaggiato anche una forma del 2005, coriacea ma non secca, e dai sapori decisamente intensi e gustosi.

santuario bitto storico

Il gusto cambia notevolmente anche il base all’alpeggio. Le specie erbacee presenti gli conferiscono sapori molto diversi: delicato, affumicato, piccante, amarognolo etc, etc…
Posso garantirlo personalmente dopo aver “piluccato” varie forme di 2-3-4 anni d’invecchiamento derivanti da alpeggi diversi.
Davvero sembra di assaggiare formaggi diversi!
Piccola curiosità: ogni tanto sulle forme si formano dei piccoli buchini. Sono dei parassiti che, molto lentamente, rodono il formaggio. Questo non compromette assolutamente la qualità del Bitto (basta eliminare quella piccola porzione ed il resto è integro), anzi è una specie di certificazione di genuinità. Quando dallo stesso alpeggiatore arrivano forme troppo sane, nessuna che nel corso degli anni presenta un difetto, significa che qualche additivo/conservante è stato aggiunto nel latte. Al Centro del Bitto Storico, sono particolarmente attenti a queste situazioni, e col tempo arrivano anche a rifiutare le forme di quel casaro.

Negli anni ’90 il Consorzio ha allargato la zona di produzione del Bitto anche alla pianura. Prima solo in alcune valli era possibile produrlo.
E da qui sono iniziati i problemi. Il Bitto si trasforma (come spesso accade in queste situazioni) da alimento di qualità in business.
La concessione dell’utilizzo dei mangimi (per avere più latte e perchè, ovviamente, a valle gli alpeggi mancano) porta con sè anche il necessario uso di fermenti per evitare che le forme si gonfino e questo avvia inesorabilmente all’appiattimento dei sapori. I formaggi di stagionature diverse non mutano il  gusto, ma mantengono tutti lo stesso identico sapore. Questo è il Bitto che si trova facilmente nei market contrassegnato da una striscia rossa che, proprio a causa dell’utilizzo di fermenti, dopo un’anno inizia a pizzicare, il formaggio si snatura e va quindi consumato in fretta.
Il Bitto industriale prodotto in questo modo è possibile averlo tutto l’anno, mentre il vero Bitto storico si produce solo in estate, per circa 3/4 mesi l’anno!

bitto industriale

Per questo il Centro del Bitto storico è uscito dal Consorzio. Da quel momento le forme non potevano più avere la denominazione Bitto. Successivamente, grazie anche all’intervento di Slow Food, i “ribelli” sono riusciti a portare il caso a Bruxelles dove è stato sancito che il Bitto si può fare in 2 modi, in valle e in alpeggio, e gli ha restituito il marchio Bitto (triste consolazione).

Molte informazioni si trovano anche sul blog dei Ribelli del Bitto, e ci fanno capire ancora volta come in Italia siamo bravissimi a distruggere le eccellenze culinarie di cui dovremmo essere invece protettori e cultori.

Giorgio Erioli, viticoltore in Bazzano (BO)

28/11/2012

La Cantina Erioli si trova sulla strada che da Bazzano va a Monteveglio. I suoi 3 ha di vigne circondano il casolare.
Giorgio è persona spiccia, sincera e dalle idee chiare. Poche bottiglie (tutte sempre vendute) e molta gente che richiede il suo vino, ma lui non si vuole ingrandire, preferisce rimanere un piccolo viticoltore artigianale, per dedicare al suo vino le attenzioni che merita.

Non concepisce la cementificazione selvaggia che sta espandendosi in Emilia: “La nostra regione dovrebbe vivere di turismo e prodotti enogastronomici, perchè sono tra i migliori d’Italia”.
Io sarò un pò partigiano, ma sfido chiunque a dargli torto.

Da anni sta cercando di salvaguardare antichi vitigni, che hanno vissuto su queste colline e queste pianure per decenni ed ora stanno quasi per scomparire. Il negretto ad esempio è vitigno assai ostico da coltivare, in base all’annata la sua gradazione zuccherina ha sbalzi enormi. L’alionza poi è vitigno “sfigato”, ha bassa resa di grappoli, buccia spessa e quindi minor resa uva-vino e spesso soffre pure di acinellatura. Capite anche voi che in un mondo dove massima quantità e minor fatica vengono prima di tutto, questi vitigni praticamente si autoescludono.
Ma se cerchi di capirli e coltivarli sapientemente possono darti prodotti strepitosi.

Lui crede nella vendemmia tardiva, perchè permette a queste uve, in tarda maturazione, di sviluppare dei pentosani (zuccheri non fermentescibili) che regalano ai vini profumi e sapori tipici del vitigno.
Leggendo di lui online e su varie riviste, temevo che questa metodologia desse prodotti un pò troppo opulenti e stancanti.
I miei timori sono fugati in un amen.

Solo travasi per illimpidire i suoi vini, per questo alcuni possono apparire agli occhi, leggermente velati. Tutti i suoi prodotti sono caratterizzati da una bella carnosità e sostanza, mantenendo però sempre un ottimo spessore di freschezza.

Il suo Pignoletto Badianum 2009, affinato in legno, ha una rotondità piena e un buon corpo, il tutto accompagnato da grande freschezza.
Il Rosso Samodia 2007, 85% cabernet s. e 15% merlot, ha un ingresso pieno e morbido, per poi partire con una acidità scattante. Già di buona beve, ma per me da lasciare ancora qualche anno in cantina.
Il Negretto 2010 fermo (ne fà anche uno spumantizzato a Metodo Classico, che abbiamo provato, ma era aperto da un pò quindi non ha senso descriverlo) è vino di grande armonia ed equilibrio, da berne a secchiate. Da non farsi mancare assolutamente!
L’Alionza 2011 spumantizzata a Metodo Classico, è davvero un grande prodotto, da far invidia a Prosecco, Champagne e Franciacorta!
L’ Alionza 2011 ferma è vino polputo, di bella sostanza e buona finezza. Anche questo una scoperta davvero interessante!

fonte mondodelgusto.it

Alla fine assaggiando e chiacchierando con Giorgio, siamo giunti alla conclusione che gli autoctoni vincono.
Qui nei suoi terreni di graves trovano il luogo ideale per esprimersi al meglio.
E anche le bottiglie (zero) rimastegli a scorta sono indice inequivocabile.

Personaggio spumeggiante ed estroso, Giorgio ha già in mente qualche novità in cantina, tipo un’alionza macerata sulle bucce.
Per me è da seguire con attenzione l’evoluzione dei suoi vini….grandi vini, scoperti a 2 passi da casa.

Luciano Saetti, il Lambrusco senza solfiti

16/11/2012

Già qualche tempo fa avevo tentato di far visita a Luciano Saetti, ma la mia scarsa organizzazione (non avevo avvisato della visita) aveva portato ad un uomo solo davanti ad una cantina deserta.
Lo incontro poi a Fornovo dove assaggio i suoi vini.
E cresce in me la convinzione di andare a trovarlo.

Errare umanum est, perseverare autem diabolicum, quindi stavolta chiamo prima di passare.
Arrivo di prima mattina, rendendomi conto di quanto è rilassante e tranquilla la campagna solierese in una giornata uggiosa.
Trovo Luciano in cantina, mattiniero, intento alla sboccatura del 2011.
La moglie in casa che mette etichette e capsule alle bottiglie. A mano.
Come mai l’idea dell’etichetta in stoffa? 
Niente di particolare, è’ stata una collaborazione che avevamo cominciato con un amico che lavorava nel tessile e abbiamo deciso di mantenerla” mi rispondono.

Figura bucolica quella di Luciano, mani grandi frutto del lavoro nei campi, sguardo malinconico e disilluso specchio delle fatiche di una cantina da portare avanti praticamente da solo. L’azienda è tra le campagne di Soliera, ma i suoi 3 ettari di Lambrusco salamino sono nel carpigiano, poco distante ma sicuramente  un andirivieni non comodissimo. I suoi vigneti, ereditati dal nonno, hanno ormai 50 anni e da questi ha pian piano ha cercato di ricavarne il proprio il vino che faceva il nonno tanti anni fa, dall’uva, senza l’aggiunta di solfiti, nè di sostanze varie.
E c’è riuscito.
Certo, un passo alla volta, in modo graduale.

Tutto comincia in vigna, dove la pianta va ascoltata, seguita e accudita. Il giusto numero di gemme per ceppo, una giusta potatura, niente concimazioni, sono alcune delle cose fondamentali per far si che la vite riesca ad essere il più possibile autosufficiente, e perchè i suoi frutti abbiano tutte le sostanze di cui necessitano. Solo così il vino potrà essere libero dalla dipendenza di lieviti selezionati e additivi.
Se qualcuno mi portasse le sue uve lavorate in modo diverso, prive di un proprio equilibrio fisiologico, non riuscirei a fare il vino che faccio. Perchè tutto parte da lì, dalla vigna” dice con vera convinzione.
Luciano ha scelto la via più difficile per produrre i suoi lambruschi (fa anche un rosso fermo) e rimane fermo e deciso nelle sue idee. R
ifermentazione in bottiglia, sboccatura à la glace, rabbocco con stesso vino e tappatura.
Tutto a mano. 
Si, perchè la tecnologia di Saetti consiste in alcuni tini di fermentazione in acciaio e nulla più. Ma i risultati lo premiano.
Quest’anno è rimasto contento della vendemmia dice “…un 10-15% in meno di prodotto, ma la qualità è buona”.

Il lambrusco artigianale di Saetti meriterebbe di essere conosciuto anche oltre i confini regionali (ma anche dentro!) perchè non è “il solito lambrusco”.
Una bevuta agile e piacevole, senza quelle bollicine grossolane che ti randellano il palato, nè quel retrogusto schiumoso e pannoso che trovi spesso in prodotti manipolati. Delicato il Rosato, più corposo il Rosso, entrambi uve Lambrusco salamino in purezza “…anche perchè ho solo quelle in vigna e faccio fatica a sbagliarmi” dice ridendo.

(Prezzo dei lambruschi 6€ franco cantina)

Le Langhe: Ezio Cerruti

31/10/2012

Ammiro molto certi personaggi che ti aprono la porta di casa nonostante sia domenica, nonostante abbiano faticato duramente tutta la settimana, e quello potrebbe essere il loro unico giorno per godersi un pò di pace e tranquillità in compagnia delle persone care.
E invece arriva qualcuno come noi, che la domenica se la spassa, che decide di venire proprio quel giorno lì a trovarti per una chiacchierata e un bicchiere di vino.
E così addio pace e tranquillità. Sigh!
Devi accogliere lo straniero che invade (amichevolmente, per carità) la tua terra.
Ok che anche questo per loro è lavoro, ma non date per scontato che tutti siano così ospitali come Ezio e Anna (e lo “scarlancato” ma simpaticissimo gatto Tino). Anche perchè, diciamocelo sinceramente, il SOL non ha bisogno di “farsi bello” davanti a 4 ragazzi qualunque, visto che la sua fama lo precede.
Quindi io penso: Chapeau!
Per la loro disponibilità.
Per la loro gentilezza.
Per il loro vino.

Rinviata di un giorno la visita causa imprevisto prolungamento a San Fereolo, arriviamo a Castiglione Tinella subito dopo pranzo (che poi in realtà è pomeriggio inoltrato, l’ho detto che qui il tempo scorre più veloce), ma stavolta siamo arguti e, memori di esperienze passate, riusciamo a non arargli il prato. 
La compagnia di Ezio e Anna e sempre piacevolissima, chiacchiere divertenti davanti ad una bottiglie di vino e ad una splendida torta di mele homemade proprio da Anna, che purtroppo rimarrà intonsa causa satollamento ventrale post-pranzo che ci impedisce, ahimè, di tuffarcisi sopra. 😦

Ezio apre il suo Sol 2008, già imbottigliato, ma non etichettato e non ancora in vendita: “…manca poco, ma non è ancora pronto…”, ci spiega.
Il Sol non sbaglia mai. E quest’annata, per quanto possibile, pare ancor meglio delle precedenti!
Nessuna opulenza nè grassezza.
Freschezza invidiabile che invoglia alla beva.
Meravigliosa finezza ed eleganza. 
Godurioso.
Il palato applaude e chiede il bis.

Questa compagnia, questo vino…sono cose che mi convincono sempre più che casa Cerruti sarà tappa fissa di ogni gita in Langa.
Ezio ed Anna si rassegnino, andremo a “rovinargli” altre domeniche. 😉