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Istantanee da Sorgente del Vino 2013

29/04/2013

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Prima volta per me a Sorgente del Vino, nella nuova location di Bastione Porta Borghetto. Ambiente affascinante e suggestivo anche se la costruzione dedalica non facilita il rintracciamento delle cantine.
Anche per questo la lista di assaggi che mi ero preventivato vedrà parecchie lacune.
Dopo un paio d’anni riassaggio il sagrantino in purezza di Calcabrina che premia sempre con il suo naso di cioccolato e caffè e il suo sorso golosissimo, e accanto a lui sono felice di rincontrare Enrico Togni dopo la bellissima avventura in Valcamonica dello scorso autunno. Il suo erbanno va giù che è un piacere e così anche il nebbiolo “1703” da botte che rivela una freschezza balsamica sorprendente.
Belle scoperte il rosso 2011 di Podere di Rosa, un blend di Sangiovese, Canaiolo e Ciliegiolo, con piccole aggiunte di Merlot e Syrah, sottile, teso, vibrante, e il ciliegiolo 2009 del camuno Antonio Ligabue.
Non riesco mai a saltare il banchetto di San Fereolo. Stavolta è stato il turno di una verticale di barbera, fortemente rivalutata dopo un precedente assaggio che non rientrava molto tra le mie corde. Compagni di questo lisergico enoviaggio Davide Danilo, ad oggi forse ancora persi nei meandri del bastione, la mia compagna e un’amica che si sono sgargarozzate Austri come se non ci fosse un domani. Una serie di barbere davvero lodevoli quelle di Nicoletta (’07, ’06, ’05, ’04, ’03, ’01) con particolare menzione per le 2003 e 2001. Grazie ai due goliardici lumbard ho scoperto anche gli ottimi vini de Il Pendio, in particolare “Il Contestatore” uno chardonnay Metodo Classico e il bianco fermo sempre da uve chardonnay. Dopo questi assaggi credo di aver capito che la mia poca inclinazione verso questo vitigno era invece probabilmente causata da vinificazioni poco idonee.
Grazie anche agli amici dell’Armadillo che mi hanno condotto attraverso gli assaggi di tutti i vini estremi valdostani di Giulio Moriondo, partendo da un Cornalin in purezza tagliente e dritto fino ad una “superchicca”: un petit rouge vinificato a fine dicembre. Un’incredibile staffetta di dolcezza e sapidità salmastra per pochissimi litri prodotti.
Non si sbaglia mai nemmeno con i vini di Monte di Grazia (già assaggiati qualche anno fa a Vinitaly) che in quel di Tramonti producono un bianco, un rosato e un rosso da uve autoctone (tintore, ginestra, pepella…) tutti puntellati da una grande, fresca acidità.
E’ un vero piacere ritrovare dopo la bella esperienza al Vinix Live! #16 Gaetano e Nicola Solenghi, la loro barbera 2000 è sferzante, succulenta e strepitosamente longeva.

Malvasia interessante quella di Gualdora, la Blanca 2012 è un tripudio di pesca e albicocca al naso con un sorso polposo e sempre fruttato, più rotonda rispetto all’annata precedente.
Sorprendente e di beva incredibile il Verdugo, l’atipico merlot di Franco Masiero. Scordatevi morbidezze ruffiane e pesantezze rotonde, questo è fine e succoso. Avercene.
Le mie compagne di bevute sono ormai capitozzate, mi seguono per forza d’inerzia (anche perchè non solo non sputano, ma non versano una goccia nelle sputacchiere!), ma fortunatamente riusciamo a passare da Sara Carbone. Grande curiosità per i suoi vini, che da tempo cercavo, ed in particolare per il nuovo rosato. Bè direi davvero un risultato esemplare, elegante e fiero, una grande bevibilità supportata dalla vigoria dell’aglianico. E così anche i suoi rossi caratterizzati un mix di potenza e freschezza. Chapeau!
E poi il solito, ridondante, voluto finale in bellezza con un calice di Sol di Cerruti.

Erbanno “San Valentino” Enrico Togni: la vittoria del territorio

22/10/2012

Il weekend trascorso in Val Camonica ha portato a piacevoli scoperte.
Una di queste è sicuramente il San Valentino, vino prodotto da uve Erbanno in purezza dalla cantina Togni Rebaioli. Erbanno? Fino ad oggi mai lo avevo sentito, e forse era poco conosciuto in generale visto che sui seguenti libri:
– Guida ai vitigni del mondo di J. Robinson – Slow Food Editore 2003;
Dizionario di vitigni antichi minori italiani di A. Scienza, O. Failla, L. Toninato, A. Cardetta, C. Fabrizio, R. Pastore, D. Lanati – Ed. CI.VIN. 2004;
– Vitigni d’Italia di A.Scienza, A. Calò, A. Costacurta – Edagricole 2006;
– Guida ai vitigni d’Italia – Slow Food Editore 2011;
non vi è il minimo accenno a quest’uva (o perlomeno sotto tale nome. Ma, dice Enrico Togni, c’è  qualcosa sul libro di Attilio Scienza e Pierluigi Villa, “Antichi vitigni bresciani”).

L’Erbanno è un vitigno autoctono camuno, con grandi capacità coloranti, buccia spessa che gli consente una miglior resistenza alla malattie (e di conseguenza necessita di un minor numero di trattamenti), ma dalle rese basse (pochi grappoli e non molto grandi), condizione che ha fatto si che venisse messo da parte dai viticoltori della zona. 

Fortunatamente il nonno di Enrico decise di non sottovalutare il genius loci e impiantò in vigneto anche alcune piantine di Erbanno.
Quando nel 2002, le forti pioggie favorirono un devastante attacco di peronospora, Enrico notò che alcune piante erano riuscite meglio di altre a resistere al fungo.
Scoprì poi che quelle viti erano viti di Erbanno, e quindi nel 2006 decise di mettere a dimora circa 1500 piantine di questo sorprendente vitigno. Quattro anni dopo, nel 2010, la prima vendemmia dell’Erbanno diede alla luce  uno dei suoi vini più significativi: il San Valentino.

Le proprietà tintorie del vitigno sono subito evidenti alla mescita, un bel rosso porpora intenso avvolge il calice, da dove escono gioiosi profumi speziati e fruttati che si intervallano a vicenda, ora more, ciliegie, prugne, e ora pepe e chiodi di garofano.
In bocca è decisamente succoso, la dolcezza fruttata viaggia al fianco di una brillante acidità, tutto in perfetta sintonia con un tannino leggero e una sostanza ben tangibile al palato.
Il San Valentino è vino davvero di ottima beva, uno di quelli che il bicchiere si svuota con estrema facilità.

A mio parere questo è il meritato risultato della caparbietà e degli sforzi di un viticultore che ha voluto evidenziare e valorizzare un territorio, impiantando un vitigno di scarsa utilità economica ma che qui, in questa Valle, per molti decenni aveva trovato i natali, e forse non a caso.
Madre natura docet.